La gelatina di maiale all’alloro di Tenuta Montelauro(a)
La Tenuta Montelaura si chiama così perché la zona dell’Irpinia dove l’agriturismo è ubicato è ricca di piante di alloro che danno il nome, prima alla montagna che sta alle spalle della struttura, e poi all’azienda stessa.
L’alloro, in dialetto irpino ‘o lauro, sta al maiale come la pizza sta alla birra, come i tortelli di zucca stanno al lambrusco,come la mozzarella sta al pomodoro, come Luciano Pignataro sta al Coda di Volpe – ed è particolarmente nella preparazione della gelatina di maiale che l’alloro predomina. Essendo una preparazione dalle indiscutibili origini rurali, la filosofia di questo piatto è naturalmente improntata al recupero di tutto ciò che è recuperabile: quindi i piedi del maiale, le orecchie, e le ossa. Sì, le ossa, perché oltre a dare un buon brodo, che rappresenta la maggior parte del contenuto della gelatina, la loro bollitura consente di recuperare fino all’ultimo pezzettino di carne attaccato all’osso, difficilmente spolpabile a crudo.
La preparazione è lunga e laboriosa: per arrivare al piatto finito occorrono circa quattro ore, e poi bisogna raffreddare, sgrassare…
Allora, dopo aver avviato la preparazione di un brodo vegetale con l’aggiunta di una decina di foglie di alloro, si mettono a bollire i piedi, le orecchie e le ossa del maiale nello stesso pentolone del brodo. La cottura, che dipende dall’età dell’animale, non può in nessun caso durare meno di tre ore e mezza-quattro ore. Si procede quindi a disossare i piedi, a sminuzzare le orecchie e a spolpare le ossa, un lavoro che presuppone una pazienza quasi infinita. Si ripongono questi pezzettini di carne, cotica e nervi in una teglia d’acciaio bassa e larga e si versa sopra il brodo ristretto, dopo averlo filtrato per togliere eventuali ossicini rimasti.
Qui siete ad un bivio: se volete seguire la ricetta classica tradizionale, nel brodo dovete aggiungere un bicchiere di mosto cotto di Fiano di Avellino, non di aglianico perché non solo la gelatina verrebbe troppo scura, ma il mosto predominerebbe su tutto. Per la ricetta classica aggiungere anche dei pinoli, dell’uva sultanina e qualche gheriglio di noce.
Esistono altre due varianti, quella al limone, con l’aggiunta di buccia di limone grattugiata, e quella dolce-salata, con l’aggiunta di cacao.
Ultima operazione è la sgrassatura, che generalmente avviene il giorno dopo, e che consiste nell’eliminazione di quella patina di grasso che intanto è affiorata in superficie con il consolidamento del brodo.
In abbinamento credo proprio che il meraviglioso Coda di Volpe, naturalmente annata 2006, di Vadiaperti sia più che giusto.
Ricetta a cura di www.tenutamontelaura.it
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