CibVs intervista… Andrea Giannone del Milano Whisky Festival (2a parte)
Continuiamo l’intervista ad Andrea Giannone del Milano Whisky Festival.
Parlavamo l’altro giorno degli effetti benefici dell’ingresso dei grandi gruppi nel mondo del whisky. Il primo di cui abbiamo parlato è quello qualitativo: la qualità è indubbiamente migliorata. Ma c’è anche un altro aspetto, che riguarda il prezzo della singola bottiglia di single malt.
È vero: l’arrivo dei grandi gruppi ha calmierato il prezzo, il costo medio per bottiglia si è abbassato, e la fruizione dei single malt è ora accessibile al grande pubblico. Una bottiglia di Macallan 18 anni costava nei primi anni 80 circa 100 mila lire, quando un blended ne costava circa 5 mila – quindi un rapporto di 1 a 20. Oggi il rapporto è 100 euro contro 15 – cioè 1 a 7. Faccio riferimento al Macallan 18 anni perché per un collezionista come me è facile sapere che ci sono alcune annate di questo whisky che sono introvabili – quelle imbottigliate tra gli anni 80 e gli anni 90, perché 18 anni prima se ne produceva proprio poco, quindi è più facile trovare Macallan 18 distillati negli anni 60 che non negli anni 70.
Il single malt è sceso di prezzo anche perché se ne produce molto di più. Negli ultimi dieci anni c’è stato un aumento della produzione anche grazie all’aumento della domanda, proveniente soprattutto da Brasile, India, Russia e Cina. Questo aumento si riscontra non solo direttamente alle distillerie, dove si comprano i barili e si paga in contanti, ma anche nelle vendite all’asta, come mi ha riferito Kruger del sito whiskyauction.com: le offerte migliori negli ultimi due anni provengono da questi paesi, che non comprano per collezionare ma per bere.
In Italia, unica nazione al mondo, il consumo di single malt è per il 50% costituito da whisky torbato. Si tratta di una vera e propria anomalia: come te la spieghi?
Si tratta proprio di una anomalia: nel resto dell’Europa (Francia e Germania ad esempio) il consumo di whisky torbato rappresenta il 10% del totale dei single malt, per non parlare della Scozia, dove la percentuale scende all’1%. Secondo me dipende da due fattori. Il primo è che come consumatori di whisky gli italiani sono “giovani”, e quindi la gente è attratta da qualcosa di completamente diverso; il secondo è che noi abbiamo un distillato in casa, la grappa, che, per i palati meno fini, assomiglia al whisky non torbato, ad esempio a un Glenkinchie, mentre i whisky torbati rappresentano una esperienza completamente nuova, che può appassionare. Anche se quello che dico non viene neppur minimamente suffragato da quello che succede in Francia, dove nonostante la presenza del cognac il whisky torbato ha un consumo molto più basso.
Anche se il gusto è una questione personale, quali sono i tuoi whisky preferiti?
Se parliamo del whisky di tutti i giorni, cioè di bottiglie che vanno dai 25 a 40 euro, i miei top quattro sono: Highland Park, Talisker, Balvenie e Glenrothes, di cui in tutta la mia vita non ho mai assaggiato una bottiglia cattiva.
Un’ultima domanda prima di salutarci: che cosa pensi della moda di fare whisky facendolo passare nelle botti più strane? Una volta si usavano solo botti che avevano contenuto Bourbon o Sherry, adesso invece saltano fuori botti di Amarone, di Barolo, di Barbaresco, perfino di Sauternes: tutto questo ha un senso?
Per me si tratta solo di esperimenti. La prima distilleria che fece whisky affinati in botti diverse dalle classiche Bourbon e Sherry è stata Glenmorangie che iniziò con botti di Porto, Madera e Burgundy che ebbero un buon successo. Per quanto riguarda le botti di Porto ci sono state anche altre distillerie che hanno seguito questo esempio, come Bowmore. Poi invece è cominciata una sorta di circo equestre, con botti di Marsala, Rhum, seguite da Amarone, Sassicaia, Barolo – ma solo quello di Gaja: in quest’ultimo caso, utilizzare il nome di Gaja, noto in tutto il mondo, la rende evidentemente solo un’operazione di marketing. Si tratta comunque di edizioni limitatissime, che costano molto, in qualche caso possono essere anche buone ma nella maggior parte dei casi non valgono niente e rimangono largamente invendute. E comunque questi esperimenti non sono stati fatti dalle grandi distillerie – anche se alla Glen Grant ho visto delle botti della Sella e Mosca, la nota casa vinicola della Sardegna, in cui stava maturando whisky, e il distillery manager era orgoglioso di mostrarmele.
In definitiva, molto spesso si tratta solo di marketing, con qualcuno che spera di imbroccare il filone giusto – che poi è un filone che non vale niente, perché dato che i barili in gioco sono pochi, ogni volta il whisky che si ottiene sarà diverso da quello precedente, il tutto diventa difficilmente replicabile, e le bottiglie diventano solo oggetti da collezione.
Grazie ancora Andrea per la tua disponibilità. Chi volesse saperne di più sul Whisky Festival e sulle degustazioni organizzate durante l’anno trova informazioni sul sito www.whiskyfestival.it. E con Andrea l’appuntamento è per questo autunno, quando ci presenterà la sesta edizione del Milano Whisky Festival che si terrà il 5 e 6 novembre 2011.
Ernestino “Virgilio” Losio
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Mi sono sempre interrogato anche io degli effetti benefici dell’ingresso dei grandi gruppi nel mondo del whisky. La risposta di Andrea è sicuramente vera ma non offre un quadro completo della situazione. Oggi l’industria dello Scotch è praticamente controllata da due colossi che hanno di positivo sicuramente la loro capillare rete di distribuzione che consente di aumentare le vendite e quindi di abbassare i costi.
Dall’altro lato però io pagherei molto volentieri 20 volte di più un single malt rispetto ad un blended se mi venisse offerta la possibilità di assaggiare un Macallan 18 buono come lo era quello di 20-30 anni fa. Oggi il gusto si è uniformato e questo non è un bene.
Per fortuna esistono tante piccole realtà che fanno una fatica incredibile per mantenere quella tradizionalità di prodotto che le due multinazionali stanno aggredendo e demolendo giorno dopo giorno.
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