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BLOGVS | November 25, 2024

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4 Comments

Che fi-punto-gata!!

Emanuele Bonati

Allora: ho cercato a lungo la fi-punto-gà, senza trovarla. Mi dicevo: come faccio senza fi-punto-gà?

Nel senso della nuova bevanda a base di guaranà di cui ci ha parlato Anna Maria nell’ultimo post di Tanto CibVs QuantoBasta. Anche se è stata una ricerca un po’ sui generis – non mi ci vedevo a entrare nei bar a chiedere scusi ce l’ha la fi-punto-gà? Cerco la fi-punto-gà – voglio subito una fi-punto-gà, ca-punto-z…

Insomma, noi uomini del secolo scorso, che pure abbiamo assistito “in diretta” allo sdoganamento di un vocabolario che è stato a lungo ritenuto disdicevole, che abbiamo sentito le parolacce di Cesare Zavattini e le (supposte) bestemmie di Mastelloni, e visto l’ombelico di Raffaella e il seno velato di Patty Pravo in un varietà, e così via, e rabbrividito la prima volta che abbiamo sentito papà nominare il membro maschile con un profluvio di zeta, abbiamo delle difficoltà. Per carità, conosciamo e usiamo (con una certa accortezza e parsimonia, in realtà) una pletora di vocaboli eufemismi sinonimi e tecnicismi, con una certa quantità di regionalismi dialettali, e potremmo ricordare a memoria, se ne avessimo ancora una, “Er padre de li santi” di G.G. Belli, o “Ricchezza del Vocabolari milanes” (e “Dormiven dò tosann… allora?) di Carlo Porta – eppure… eppure non avremmo mai commercializzato, e nemmeno pensato a commercializzare, una bevanda a nome fi-punto-gà. Nemmeno se il nome derivasse da un acronimo degli ingredienti, che so, da una decozione di fichi e garum, di finocchi e gavi – ah… in realtà è un acronimo… circa. Leggiamo dal loro sito:

Pensatela come volete. Voi consumatori siete i nostri unici padroni e giudici. In verità il nome è nato per caso, perchè il titolo originario era “Fiori di Guaranà”. Ma ci sembrò da subito troppo lungo e scontato come “brand”. Allora abbiamo deciso di abbreviarlo cercando di utilizzare le iniziali di “Fiori di Guaranà”. Il risultato era fi.GU’. Non ci sembrava soddisfacente nè interessante. Allora con un piccolo stratagemma abbiamo unito la primo e l’ultima lettera di “Fiori” (fi), con la prima e l’ultima di “Guaranà” (ga). Risultato “fi.GÀ” (l’accento sulla A). Suonava bene, era corto ma … c’era un dubbio! Chissà come lo avrebbero percepito i consumatori? Volgare, trash. E poi figuriamoci le battute. Poi abbiamo pensato: il prodotto è molto buono, il packaging particolarmente glamour ed elegante, perchè non rivolgersi direttamente al pubblico femminile? Anche perchè ci sembra che nel mercato delle bibite non ci sia nulla di specificatamente rivolto al mondo “donna”. Beh… ci crediate o meno le donne ne sono rimaste divertite ed affascinate. Ne sono diventate le testimonials per eccellenza, anche nei confronti del pubblico maschile. Hanno intuìto immediatamente che la “volgarità” sta negli occhi di chi guarda, e che ordinare un fi.GÀ (l’accento sulla A) può invece essere un modo simpatico e divertente per affermare la propria personalità e autostima.

Insomma – non molto convincente (vedi il post di Anna Maria), vagamente irritante (compreso il plurale di ‘testimonial’, che in italiano non si usa) nel suo vantare l’autoaffermazione femminile condotta nel poter dire al bar portami una fi-punto-gà… Anche lo sproloquio successivo, anti-marketing, così come anti-tutto e tutti (“Abbiamo deciso di non seguire nessuna “strategia di marketing”. Ci siamo stancati dei tanti moderni “Guru”: di stilisti che ci insegnano che cosa è l’eleganza, di “gastronauti” che ci dicono come, cosa, e dove dobbiamo mangiare, di “intellettuali” che ci suggeriscono cosa è bene leggere, quali mostre vale la pena visitare e magari quali “salotti bene” frequentare, di economisti che ci guidano negli investimenti più redditizi, salvo poi accorgersi che forse era meglio affidarsi alla classica “testa o croce” della monetina.”) non suona benissimo – mi sembra anzi marketing estremo, non sono i soli a sostenere l’inutilità degli ‘esperti’, dei ‘professionisti’, dei ‘politici di professione’ (che pure sono idee spesso giustissime), e declamarlo per il nome di una bibita è proprio seguire un trend, una moda (ti faccio vedere che la so più lunga, io – ah, i pubblicitari, che l’avrebbero chiamata Guà, che sciocchi, vuoi mettere l’icasticità di fi-punto-gà? ah, le guide culinarie, lo so io dov’è la vera trattoria tirolese che ti fa l’autentica ribollita alle cozze in tempura…).

E allora: allora niente scandalo, per carità, solo la donna – e la fi-punto-gà – sono un’altra cosa. E questa “guaranà fruit fusion”, porca miseria, è anche buona, fresca, nuova, senza quel tanto di eccessivo che hanno spesso i beveroni tropicali… Mi piace – è una fi-punto-gata!!

E vuoi mettere – son qui che stringo la fi-punto-gà in mano, e…

Comments

  1. Daniela

    Emanuele, hai il dono di rendere con leggerezza anche spunti su cui altri sbracherebbero.
    A me però il nome perplime parecchissimo.

  2. Immagino… e dire che mi sembra anche buona…

  3. Maria Elena

    Mmmhhh in Brasile il guarana’ e’ la bevanda nazionale, poco diversa dalla cocacola, mentre la figa (senza punti) e’ un tradizionale portafortuna (quello a pugnetto), acuti questi del marketing, non solo conoscono bene le finezze del marketing strategico ma hanno anche ben approfondito il prodotto e la sua provenienza. Evviva!

  4. Probabilmente è vero – la finezza strategica, dico – ma a me fa comunque un certo effetto, la differenza fra l’uso colloquiale e prevalentemente amicale e l’istituzionalizzazione di un marchio, non so, mi fa strano, no, anzi, maleducato

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