Il pentalogo di VMV e VVMV – il Vero Valerio Massimo Visintin
Allora: precisiamo subito: VMV sono io. E non lo dico io – già in due o tre mi hanno abbordato in pubblico chiedendomi se sono io il Visintin che scrive sul Corriere – e che bravo e ha proprio ragione a cantargliene quattro a questi scèf e no no guardi lei non capisce proprio niente come fa a dire che quel cuco così carino… Sarà per il fatto che mi aggiro anch’io per ristoranti e mangerie varie, senza peraltro nascondermi dietro una maschera nera come si dice faccia VMV, scarabocchiando sull’iphone o scribacchiando su quadernetti (Moleskine, ça va sans dire) neri e facendo (brutte) foto furtive con aria saputa? Comunque, se me lo dicono, ci sarà un fondo di verità, no?
Oppure, no, potrebbe, anzi deve proprio trattarsi di un caso di sdoppiamento della personalità. In un post recente su Mangiare a Milano il mio alterego parla di budini di riso, cui ho accennato qualche giorno fa, ripromettendomi approfondimenti (e mi sembrava che il budino della pasticceria Marchesi fosse abbastanza buono, ma forse un po’ meno di quanto ho scritto… urge un ripensamento in loco); sempre qualche giorno fa, la mia foto dell’albergo Montfort + Opera di San Francesco (sembra proprio la mia, scattata al buio da quella angolazione dopo essere stato da Lile in cucina lì davanti…) è comparsa su un articolo che pensavo di avere ancora in testa; anch’io ho trovato che gamberi e carciofi… Insomma, non so se curarmi o congratularmi con me stesso…
Dura la vita – scrivo per BlogVs.it, scrivo per Scattidigusto.it, e senza saperlo anche sul Corriere…
Un altro indizio preoccupante: ogniqualvoltache vedo un locale, che sia nuovo o meno non importa, e me lo studio un attimo, dico magari ci vado settimana prossima, ecco che compare su un qualsivolgia giornale settimanale testata web un articolo – non prima o poi, ma nel giro di due o tre giorni. Che so, l’altra sera, prima di un appuntamento, sono passato davanti Al Mercato, ho fatto un paio di foto all’esterno, ho letto il menu (caro ma invitante), ho detto, magari… e ieri ecco la recensione sul Venerdì di Repubblica. Sarò schizofrenico?
Non solo: io, e/o il mio alterego, ho, abbiamo pubblicato un Pentalogo per il bravo critico anonimo enogastronomo. Anzi, l’avrà fatto lui, visto che a me non piacciono le classifiche. (E, a volerla dire tutta, penso che sia il termine “critico” che “gastronomico” non corrispondano esattamente alla mia figura di blogger mangione…).
1) Se sono conosciuto, mi resterà sempre il dubbio di aver goduto di un trattamento di favore. E non potrò riferire con certezza al lettore un’opinione neutra.
Forse sì. Ma il trattamento di favore può riguardare e fino a che punto influenzare il modo di cucinare? Al più, una cura maggiore nell’impiattare, alla cottura, nelle quantità? Ci sono ingredienti per i critici e altri per i clienti?
Da un lato, parlo di quello che ho nel piatto, in quel momento e in quel giorno, magari tutto è venuto benissimo o magari un po’ meno bene (e se il cuoco ha il mal di testa? se ha litigato con la moglie?); e con un occhio vedo cosa accade e cosa si dice agli altri tavoli, e mi faccio un’idea più completa (perché quel giovanottone non ha finito il piatto di carciofi fritti? la sua amica ha spazzolato tutto però… e a quel tavolo cosa dicono del culatello?).
Certo, devo dire che personalmente – quando non sono VMV cioè… – non faccio molto per nascondermi. Il fatto di ripulire perfettamente i piatti (anche se non ho molto apprezzato il contenuto), o di prendere da due a tre dolci ogni volta, oltre a sforchettare abbondantemente i piatti dei miei commensali, beh, non corrispondono esattamente al basso profilo che un vero inviato del gusto e paladino del retrogusto dovrebbe avere… Una volta St Yves, in Bretagna, con alcuni amici abbiamo partecipato a una bellissima festa con concerti banchetti mangerecci e fra le altre amenità una tenda con degustazione di ostriche – inutile dire che ci siamo lasciati andare con le ostriche (a prezzi irrisori) – la mattina dopo i santyvesini mi additavano, coi miei amici, con aria piacevolmente stupita e felice – ah, les italiens, vous aimez bien les huitres, n’est pas?
2) Accorciate le distanze con la controparte, metterò a rischio la mia obiettività. Perché siamo pur sempre esseri umani (su qualcuno ho dei dubbi, a dire il vero).
Pur condividendo i dubbi sull’umanità, in generale e nel particolare – è proprio su questo che gioco il mio scrivere, su di me che vado mangio osservo e scrivo (cioè espongo, racconto, non “critico” professionalmente). Cerco di essere obiettivo con me stesso, ma sempre soggettivo; e se il cameriere è poco gentile (cerco sempre di far sorridere un cameriere/a, e se mi riesce, è un punto a favore del locale), o se il piatto mi arriva in ritardo, o se viceversa qualcosa mi colpisce (una volta Oldani, a cui avevo confessato che un suo piatto – uno zucchino nonricordocome – non mi aveva detto niente, mi ha fatto portare un’altra cosa…), ecco che la mia obiettività si sfuoca un poco… Ma lo racconto – e questo inquadra il tutto, e siamo pari.
3) Un critico gastronomico a volto scoperto impone, volente o no, una sintomatica deferenza. Inducendo, probabilmente, il ristoratore a offrigli la cena o un costoso extra. Creando, in ogni caso, un cortocircuito, etico e pratico, nella dinamica dei rapporti.
Mi offri la cena? Grazie. Mi dai dei soldi? Grazie sì o no a seconda dei casi (personalmente, mi sa che li prenderei, scrivendo comunque quello che penso, e anche che ho intascato tot…). A pensar male si fa peccato, diceva Andreotti, ma spesso ci si azzecca. E forse questo retropensiero sta dietro a ogni nostra esperienza – e nella fattispecie, ogni recensione entusistica o negativa può suscitare dei dubbi, ma sarà vero? E allora? Allora niente – come ogni cosa, la prendo per quello che è – uno scritto che mi stimola ad andare a provare quel posto, per dar ragione al critico di turno o per disprezzarne l’incapacità di giudizio…
4) Qualche collega teorizza l’usanza del saluto a consuntivo. Un congedo con nome cognome e testata incorporati, come i titoli di coda dei film. Anche questa abitudine non è logica. Avrebbe senso forse soltanto se il critico o l’oste cambiassero mestiere quella sera stessa. Evento per altro augurabile, in qualche circostanza.
Questa in effetti non mi sempra una pratica particolarmente geniale. Io poi, tendenzialmente timido, non ne sarei capace (a volte però mando il link delle cose che scrivo, se mi sembrano ben riuscite…).
5) Quando il critico di una testata influente fa il suo trionfale ingresso in un ristorante e viene riconosciuto, sottrae l’attenzione dei camerieri ai poveri cristi, che da dieci minuti aspettano lo straccio di un menu.
Ma forse anche l’attenzione dei clienti viene distolta, e quindi – pari…
…
“Sono Totò – l’alter ego di Emanuele su Miracolo a Milano, su Scatti di gusto e su BlogVs. Se pensate che Emanuele abbia iniziato a montarsi la testa e a credersi un critico gastronomico – beh, può sembrare così, e in effetti un po’ egocentrico lo è; ma in realtà, quando inizia a scrivere, non riesco a fermarlo…”
Emanuele Bonati
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