Piangere sul latte versato?
Leggiamo su Qualeformaggio, il bel sito di informazione casearia di Stefano Mariotti:
Quant’era ampiamente prevedibile al momento dell’ingresso di Lactalis in Parmalat è oggi realtà: una triste, tragica realtà. Chiudono le centrali del Latte di Genova e di Villa Guardia, nel comasco (ex Carnini) e va in ginocchio il relativo indotto: il latte delle loro stalle non serve più. Il latte per le “grandi firme ” è infatti una commodity, come il ferro lo è per l’industria siderurgica o il cotone per quella dei tessuti. Il latte l’industria lo compra sul mercato globale: dov’è più conveniente, dove costa meno.
Guai quindi a pensare che i latti possano essere diversi uno dall’altro (e via via questa logica permea il mondo dei formaggi più diffusi e globalizzati), com’era prima del secondo dopoguerra: da allora il depauperamento a cui l’industrializzazione del settore lo ha portato, trascurando i nutrienti “nobili” in esso contenuti ha spinto le grandi aziende a liberarsi dei “rami secchi”, razionalizzare e, soprattutto spadroneggiare. Senza che nessuno, né la politica né gli organi di controllo del nostro Paese abbiano pensato – come nel caso di una Parmalat acquistata da Lactalis – di dover intervenire.
L’articolo poi prosegue, approfondendo e precisando e contestualizzando. Io mi fermo qui: non ho niente da dire, da commentare. Solo tristezza.
Emanuele Bonati
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