Dieci punti per Bio
Riprendo dal sito di Francesco Iandola (fra la altre cose – e sono molte – ambasciatore italiano del Food Revolution Day di Jamie Oliver) “I prodotti Bio in 10 punti“, dall’incontro con Marco Boccasile, Salvatore Malfa, Walter Molinaro svoltosi in Cascina Cuccagna a Milano il primo ottobre per “Metti una sera in Cascina”.
1 I prodotti biologici attirano un utente medio di 30-45 anni, di buona cultura e di discreta disponibilità economica che generalmente diffida della GDO, ma che spesso per comodità non può prescinderne. Un utente che comunque cerca di interessarsi a ciò che mangia. Il 76% dei consumatori acquistano Bio 1 volta al mese, l’8% comprano Bio 3 o più volte al mese.
2 Il mercato Bio vale nel Mondo 45 miliardi, di cui 1,5 in Italia ed è sviluppato specialmente in USA ed Europa. L’Europa è il più grande produttore mondiale di alimenti BIO, in Italia l’1,9% della superficie agricola è destinata a BIO ed è la seconda in Europa.
3 Non si sa cosa voglia dire il marchio Bio e cosa ci sia dietro, si certifica il non utilizzo di pesticidi ma non la mancanza di tossine nel cibo, che spesso il prodotto Bio sviluppa con più facilità. Quindi BIO/genuino non vuol dire più sano. In Africa nei paesi umidi dove la coltivazione è Bio e naturale c’è un’alta percentuale di tumori da alimentazione. Anche i cibi naturali/Bio contengono tossine nocive.
4 La certificazione Bio è una certificazione di processo non di prodotto. Si valuta ciò il metodo che ha portato alla produzione non la qualità e i contenuti del prodotto. Il consumatore deve pretendere più informazioni e più qualità, l’etichetta deve essere didattica, non un insieme di sigle incomprensibili
5 Dobbiamo pretendere derrate alimentari più sane e che l’eccellenza sia sufficiente a sfamare tutti, ora il Bio non lo permette. Il Bio è più caro e solo 1 volta su 10 questo è giustificato.
6 Non vanno usate a sproposito definizioni, come Biologico, naturale, organico. Tutto il cibo è biologico altrimenti non sarebbe commestibile. Tutto è naturale anche la chimica e i pesticidi.
7 Non vi è evidenza scientifica che un prodotto trattato in modo industriale sia migliore di uno “naturale”.
8 Perché sia veramente migliore e più sano, l’alimento andrebbe seguito dalla terra in cui si coltiva al modo in cui si cucina.
9 Servirebbe una nuova certificazione, BEE: Bio Eco Eccellenza. Il minimo dei contenuti chimici (pesticidi ecc) con il massimo dei contenuti naturali (salute, gusto ecc). Ci sono terreni inquinati storicamente per questo serve una certificazione eco e non solo Bio e dobbiamo pretendere di sapere i contenuti i qualità organiche dei singoli prodotti.
10 km zero è un mito da sfatare è la catena corta a fare la differenza: ridurre il tempo e le distanze. Colto e mangiato è il massimo che si può pretendere. Più che il km zero è importante un ridotto tasso unitario di consumo di carburante.
Mi sembra che sia un buon punto di partenza per riflettere, seriamente, sulle etichette ‘bio’ che così spesso appiccichiamo in giro…
Emanuele Bonati
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