Io do del tu a Carlo Cracco
Io do del tu a Carlo Cracco. Non che questo significhi che abbiamo una lunga consuetudine, o una recente amicizia, o una episodica frequentazione – solo una certa contiguità (un paio di metri) alla presentazione del suo ultimo libro, A qualcuno piace Cracco. Ovvero – sono stato invitato alla presentazione alla blogosfera del volume di cui sopra, edito da Rizzoli, nel ristorante Cracco; preso posto in un angolo, ben laterale, mi sono imprevedibilmente ritrovato a un paio di metri dal suddetto Carlo Cracco. E altrettanto imprevedibilmente Barbara Sgarzi ha pensato bene di invitarmi a porre la prima domanda al sunnominato – adducendo come motivazione della sua scelta non tanto la casualità che spesso governa i nostri destini, quanto proprio il fatto che essendo io sovradimensionato rispetto alla norma delle foodblogger (maggioranza femmine, ovvio: le quote azzurre consistevano in 4-di-numero), non riusciva a vedere gli altri intervenuti…
E io, colto alla sprovvista, cosciente peraltro del fatto che una buona parte dei convenuti poteva essermi figlia, qualcuno forse nipote, e Cracco tutti sommato un fratello minore, ho usato il mio “tu” paternalistico-giovanilistico, improvvisando una domanda che mi ero lungamente studiato nelle ultime settimane, di rara profondità e introspezione – farfugliando qualcosa tipo “ma chi te li fa questi bei titoli?”.
Io do del tu a Carlo Cracco – ecco.
Che poi, questo titolo – A qualcuno piace Cracco – come già Se vuoi fare il figo, usa lo scalogno – è davvero riuscito, col suo giochino che te lo fa già suonare familiare. “La cucina regionale come piace a me” – il sottotitolo spiega subito di cosa si tratta: un viaggio personale nella cucina italiana, spiegata e raccontata e annotata e leggermente interpretata. Sul “leggermente” è ammesso un vago scetticismo – un’aggiunta di foie gras alle orecchiette con cima di rapa non è esattamente concettualmente “leggera”, e ha perplesso non poco i foodblogger pugliesi presenti (che – non lo sanno ancora – mi inviteranno ai loro esperimenti cracchiani): ma ho dato una rapida scorsa al volume (ho – abbiamo – la mia copia in anteprima, il resto del mondo lo leggerà solo domani…), e tutte le interpretazioni non prescindono dalla ricetta originaria.
Le ricette sono spiegate e contestualizzate – molto bene, devo dire: estremamente chiaro e lineare, Cracco (anzi Carlo, visto che gli dò del tu…) spiega sia come pulire i ricci di mare (con le forbicine da bonsai togliere la calotta…) sia la differenza tra animelle di cuore, più pregiate, e di gola, racconta le origini della finanziera come quelle della zuppa coada, suggerisce varianti e aggiunte ragionate e ragionevoli – porta il suo tocco personale (a me piace, io preferisco, secondo me…) in una materia di peraltro impossibile codificazione quale la cucina regionale, che – lo dice anche nella prefazione – probabilmente non esiste: è più una cucina di territorio, di località, di paese, è stato detto da qualcuno, a volte, addirittura di condominio. Di città: ma di una ricetta come la Torta delle quattro città sono appunto quattro le città a contendersene la paternità, Verona Vicenza Mantova e Modena: e peraltro mia nonna, nel piacentino-parmense, mi faceva una torta abbastanza simile, ricoperta di una pasta tipo tagliolini sottilissimi, croccanti, che ricordo ancora dopo tanti anni (agli interessati: le ricette di mia nonna erano del tipo prendi la farina e ci metti le uova e lo zucchero – quanto, nonna? – così non vedi? – ma se riuscirò mai a recuperarle…). Ricetta interessante, raccontata a Cracco da Iginio Massari, maestro della pasticceria (solo raccontata: e Cracco col suo pasticciere Luca si sono messi lì a reinventarsela, ottenendo risultati scarsi, grumi di tagliatelle appiattiti sulla torta – mi sa che hanno provato anche a metterci su un risotto… – fino ad arrivare al risultato pubblicato a p. 108, con foto a p. 109: bello a vedersi, anzitutto, ma visto che ha suscitato molto interesse fra le (e i 4) foodblogger presenti, mi aspetto si saranno già dedicate a sperimentarne la preparazione – e io sono qui, tester e taster assolutamente disinteressato.
Va anche detto che la prima cosa che ognuno di noi ha fatto, prendendo in mano il libro, è stata andare a cercare la propria regione, e vedere cosa c’era – ci sono solo da 2 a 4 ricette per regione, unica eccezione l’Emilia-Romagna, regione “doppia”, con 5. E mi sembra di poter dire che le scelte sono state oculate: in 62 ricette c’è un po’ di quello che bene o male ci deve essere – l’ossobuco lombardo – io sono lombardo, i passatelli emiliani – io sono emiliano, il pesto ligure (Roberto Panizza, uno che ha voce in capitolo, lo ha letto e approvato) – io sono un poco anche ligure, la cassata siciliana – mi sento anche un poco siciliano eccetera; ma c’è anche qualcosa di magari insolito e poco conosciuto – per dire, la cucina molisana, poco frequentata, o la ricetta del Timballo del Gattopardo, celebrata nel film di Visconti e recuperata da Cracco da una versione del 1840…
E poi e poi… insomma un bel libro. Avrei solo qualcosa da ridire su corpi e caratteri di stampa, giusto per esercitare il mio acume critico-editoriale…
A seguire, aperitivo – e se il grissino era buono, il prosciutto che ne avvolgeva sensualmente la metà superiore era squisito – e la spuma di cavolfiore con ovetto di quaglia era una cosa meravigliosa – e la onlus “Raccogliamo denari per mandare Emanuele a cena da Cracco” è attiva: telefonatemi!
Carlo Cracco
A qualcuno piace Cracco
La cucina regionale come piace a me
Rizzoli
pp. 264, 16,90€
Emanuele Bonati
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