Il Mercato dei Vini di Piacenza: il paese dei balocchi di ogni enonauta
Un nuovo amico inizia a scrivere su BlogVs: Marco. Lo abbiamo mandato a Piacenza – e non ci ha portato nemmeno una bottiglia…
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Sabato 29 novembre, la giornata non è delle migliori – non piove ma sono due giorni che il grigio incombe sul nord Italia. Siamo a Piacenza, a 400 mt dall’uscita dell’Autostrada del Sole, in zona FieraExpo. Siamo al Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti: il paese dei balocchi di ogni enonauta.
Sono le 12.30: finalmente le porte si aprono e la folla degli enonauti, composta ma scalpitante, si mette in fila per biglietto e bicchiere, pronta a nuove scoperte. L’enonauta è calmo, è paziente, è un passionario, e sa perfettamente che i vignaioli in attesa all’interno non scappano, anzi pazientemente li coinvolgeranno in un viaggio virtuale all’interno della loro cantina.
Il contesto fieristico di Piacenza (siamo alla seconda nostra presenza) è perfetto, semplice ma ben organizzato (a scacchiera), c’è spazio sufficiente per aggirarsi e dialogare, e carrelli dove raccogliere il bottino della scorribande tra i vignaioli.
Una nota: appena mi viene consegnato il Carnet con tutti gli espositori corro a cercare l’indice. Eccolo: quest’anno è stato inserito – BRAVI!! Peccato che non venga più consegnata la mappa con cui cercare e identificare il numero corrispondente all’azienda vinicola. Ossia lo scorso anno c’era la mappa con i codici degli espositori ma non un indice per identificarli rapidamente; quest’anno abbiamo l’indice con i codici ma ci manca la mappa per sapere dove sono collocati…
Un’altra piccola nota per l’organizzazione: è vero che siamo in tempo di crisi (e altrettanto vero che probabilmente il 99% dei presenti a casa ne possiede più di una, ma a casa): perché non consegnate anche la tasca per il bicchiere? Certo la possiamo acquistare con 2 € in più oltre al biglietto di ingresso (15€ con il calice), ma è come comprare un’auto senza i sedili: la potete guidare ma sicuramente sarà meno comoda.
Vi racconteremo la nostra visita attraverso i nostri appunti: partiamo con bollicine e vini bianchi.
Pasini: con le sue 300.000 bottiglie è una delle grosse aziende presenti: siamo in Franciacorta. Centopercento: 100% uve rosse Groppello in purezza vinificato in bianco: bollicina morbida a bassa persistenza. Lugana Busocaldo: lungo affinamento (12 mesi) in acciaio sul 15% di fecce in sospensione: retrogusto di amaretto, forse troppo amaro e spigoloso per il mio gusto (15€). Lugana (uve Trebbiano): piacevole e amabile, a mio giudizio personale preferibile al più complesso e ricercato Busocaldo (8,50€).
Le Chiusure: azienda da 25.000 bottiglie, già visitata lo scorso anno e apprezzata per il suo chiaretto (6500 bott), anche se non sono un amante dei rosati. Purtroppo il ricordo dei profumi e dei sapori percepiti nel 2012 non ha trovato una corrispondenza in questo del 2013.
Il Calamaio: siamo sulle colline a Nord-Ovest di Lucca, con una delle aziende più piccole presenti a Piacenza (6500 bottiglie). Samuele con la moglie ti accoglie e con passione ti racconta le sue tre creazioni, tutte non filtrate e tutte lavorate a mano (anzi, quest’anno a causa delle piogge ha dovuto “sgrappolare” chicco per chicco). Soffio: Uve Chardonnay e Petit Manseng e ‘altro’ (8,00€). Poiana 2012: Sangiovese in purezza, un vino già apprezzato e acquistato nell’edizione 2013, che si conferma nella sua semplicità (7,00€). Antenato: un esperimento al suo terzo anno di vita: un blend di vari vecchi (50 anni circa) vitigni autoctoni ormai quasi scomparsi (barsaglina, mazzese, buonamico, colorino, etc.); affinato in acciaio, passa un solo mese in legno. Se la prima ‘edizione’ provata nel marzo 2013 non aveva brillato e risultava molto spigolosa, quella odierna è ‘matura’, ‘morbida’ e sprigiona profumi nuovi (8,50€).
Messnerhof (17.000 bott.). Lagrein (13,00€). Bellehus: un vino molto complesso, costruito con uve di Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah, Tempranillo e Petit Verdot, affinato per 18 mesi in botti di rovere. Il 2010 provato l’ho trovato molto tanninico per quanto sembrasse già maturo (14€).
Pausa gastronomica. Decidiamo di pranzare e per accompagnare due ottimi taglieri di spalla cotta e culatello salame felino e Strolghino (e l’immancabile Parmigiano Reggiano) decidiamo di cercare una piccola azienda con una proposta di rossi importanti: ci indirizziamo verso la Valpolicella. Ed ecco Coali.
Coali della famiglia Savoia. Ripasso: con 20€ vi regalate un vino equilibrato che gareggia con i due fratelli blasonati: l’Amarone 2007 e l’Amarone 2005, il mio preferito, imbottigliato dopo quattro anni di appassimento in botti di Slovenia. È la nostra scelta per accompagnare il piatto di salumi.
Ar.Pe.Pe.: siamo ancora in Valtellina, a Sondrio: oggi è presente Emanuele Pellizzatti Perego, uno dei tre fratelli che guidano l’azienda (Guido è assente giustificato, in giro per l’Italia a promuovere il loro nettare). Ci impegniamo su una piccola verticale di Sassella: Rocce Rosse 2010 e Vigna Regina 2002 (con una lunga macerazione). Peccato manchi la mascotte, la recluta, il “vino da tavola” dell’azienda, il Rosso di Valtellina: un assemblato di Sassella e Grumello che personalmente – non me ne voglia Guido – è quello che preferisco.
Bosio: 80.000 bottiglie di bollicine + altre 20.000 bottiglie. Saten (100% Chardonnay), bollicina morbida tipica di questo vino. Brut millesimato (70% Chardonnay + sboccatura del 2012). Tutto fedelmente in acciaio.
Sara&Sara: siamo nel cuore dei Colli Orientali del Friuli, con un’azienda da 20.000 bottiglie. Al banco i fratelli Emanuele (il più piccolo) e Alessandro sono qui a sorprenderti con il loro Sauvignon. Ammetto che lo avevo già apprezzato nel 2013, e quest’anno è stata solo una conferma …ma che conferma! Profumato, fruttato e morbido e dalla buona struttura. Picolit (1000 bott. da 375cc): ovviamente un monovitigno vendemmiato e poi raccolto in cassette per 2-3 mesi (a seconda dell’annata), macerato separato dal rachide. Crei (prodotto con una selezione manuale di uve di Verduzzo friulano 90% e Sauvignon 10%): colpisce più del Picolit anche se la spunta di poco. La lavorazione strettamente manuale (come tutta la filiera di quest’azienda) prevede un’attenzione spasmodica all’ossidazione. La sorpresa invece è arrivata dal loro Verduzzo, un gran vino (10% Sauvignon e 90% Verduzzo) per tutte le occasioni, un’esplosione di sensazioni di frutti da albero (mele e albicocche). Al momento della vendemmia, le uve di questo vino vengono lasciate ancora per un mese sulla piante: risultato, l’apporto zuccherino che si percepisce è netto, senza eccessi ma affascinante (ve lo potete portare via con 8,00€). Ci tengono a ricordare che, pur nella massima ‘artigianalità’ del loro prodotto, con un investimento in un Ossimetro vogliono comunque garantire e ottenere risultati anche tecnicamente validi.
Nardello a Soave (50.000 bottiglie). Un Recioto come nello stile di questo vitigno, un grande vino da provare con formaggi anche erborinati.
Inutile dire che avremmo potuto restare qui nel nostro “Paese dei Balocchi” ancora a lungo, a soffermarci e ‘riflettere’ con altri vini già noti o nuovi, con altri bravi artigiani del vino e infaticabili enonauti. Torneremo alla prossima edizione.
Marco Lupi
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Grazie per la tua cronaca e per i tuoi appunti, che sembra di seguire dal vivo!
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Pasini San Giovanni non è un azienda della Franciacorta ma bensì della valtenesi, sempre in provincia di brescia ma con erreni e microclimi completamente differenti.
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Hai perfettamente ragione Juri: è l’effetto partenza …… falsa 😉 .
Ho comunque cercato di tracciare con scrupolosità tutto ciò che ho vissuto in quelle 5 fantastiche ore.
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