Di cosa parliamo quando diciamo “senza”
Se il fil-rouge di questo articolo vi sembra enigmatico, ve lo sciolgo subito. Sono 4 esempi, scelti tra recenti esperienze vissute per lavoro, che mi hanno fatto pensare a come il mondo cambia. A come ciò che in passato ci sembrava una privazione ora si ridefinisce e può diventare un valore. Di che cosa parliamo, allora, quando diciamo “senza”? Cosmetici senza compromessi
Segnatevi questa parola: biocosmesi. È in pratica il bio (quello per cui facciamo tanta attenzione nel cibo) applicato a creme, shampoo, saponi, make-up – cioè ai prodotti che nutrono il nostro corpo passando attraverso lo schermo infinitamente sensibile della nostra pelle. Ora, la biocosmesi, come scienza e come processo produttivo, è sempre più figlia di filiere controllabili spesso connesse alla bioagricoltura o a progetti di sostenibilità. E come gli alimenti bio esigono certificazioni ufficiali, così è per i cosmetici. Molti esibiscono il logo NATRUE, per esempio, concesso da uno dei maggiori enti certificatori internazionali. Accade intanto che, accanto a marchi già affermati come Weleda, Dr. Hauschka, Gala Cosmetici, N&B, Lavera, Primavera, nascono – e ambiscono a crescere – moltissime realtà di dimensione artigianale come Villa Eta di Germaine Bombampete, imprenditrice congolese radicata in Abruzzo, che lavora su ingredienti come l’olio EVO da cultivar locali, spremuto nel proprio frantoio.
Prendete un personaggio con la presenza scenica di chef Rubio. Mettetelo alla testa di due squadre di ragazzi-cuochi che per mesi hanno studiato il loro territorio, il rispetto dell’ambiente, le proprietà fisico-chimiche degli alimenti. Due squadre di 12-13enni lombardi e toscani che finalmente si cimentano in una gara di invenzione culinaria proponendo un intero menu vero. Dal vivo. Con il timer che scandisce spietato i minuti. Importa chi ha vinto? Relativamente. Importa il tema: l’energia e le sue sfide. Ne ha fatto un leitmotiv strategico il gruppo francese ENGIE, player del settore energetico a livello mondiale. In collaborazione con il Ministero dell’Ambiente, dell’Istruzione e Confindustria, ENGIE ha infatti lanciato e diffuso anche in Italia un programma di educazione e orientamento scolastico sul tema dell’energia – produzione, trasporto, utilizzo razionale, impatto ambientale – sottolineando con forza il valore delle scienze come scelta futura sia per i ragazzi sia per le ragazze. Il programma si chiama www.impariamolenergia.it e ha una prospettiva pluriennale. Perché non aderire?
Come spiegate il fatto che donne di taglia esile chiedono di provare e spesso, possibilmente, anche acquistano abiti per forme curvy? Assomiglia al fenomeno per cui persone non intolleranti o non celiache adottano i prodotti senza glutine? Sono solo fluttuazioni del gusto? O consapevolezze crescenti del rapporto corpo-dieta? C’è davvero una moda creativamente più valida, non privativa, non punitiva? Desiderio di beni che devono durare? Forse un po’ di tutto questo. MARINA RINALDI, che nei mesi scorsi ha sposato con il magazine Dispensa un percorso culturale su donne e cibo, ha offerto una risposta interessante. Lo ha fatto proponendo una collezione di pezzi facili e trasversali in ogni senso: età, occasioni, tempo – e taglia, aggiungo io. La collezione si chiama EASY e il messaggio è sintetizzabile nel concetto “All you need is less”. Intanto, Storie di Donne e Cibo è anche un libro di foto e racconti sull’universo femminile dell’amore, del nutrimento, della creatività. Adesso che ne avete sentito parlare, lo volete? Lo trovate online sul sito del magazine.
Immaginate di entrare in una stanza. E di ricevere un passaporto che vi destina chi di qua, chi di là. Dopo poco inizia un pasto. Di là vengono serviti numerosi vassoi pieni di cibo e bottiglie di vino. I pochi convitati attaccano e, dopo i primi bocconi avidi, faticano a finire, suppliziano gli avanzi nel piatto. Di qua, gli altri (quorum ego) ricevono, increduli, un paio di ciotole di riso da dividere tra tutti – e acqua. Solo dopo il gruppo degli affamati è ammesso alla tavola dell’abbondanza. Quest’azione esperienziale si è svolta veramente, quest’autunno, presso il PTP – Parco Tecnologico Padano di Lodi. E inutile dire che era una metafora dello squilibrio alimentare nel mondo. Dello spreco di cibo. Ma è stato anche il modo di presentare un paio progetti connessi a questo tema. Uno, il format didattico della società israeliana Forrest Innovations che promuove produzioni e consumo intelligente. L’altro, MyFoody, piattaforma incubata da PTP, che segnala agli utenti dove comprare vicino a casa prodotti a rischio-spreco, come la frutta brutta o confezioni difettose o vicine alla scadenza. Essere sensibilizzati su tutto questo prima di Natale – tempo in cui il contrasto eccedenza/privazione si acuisce – non è male.
Daniela Ferrando
[Immagine di copertina: Manuel Marangoni]
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