Cinque regole per la genovese di tonno perfetta (o quasi)
Le ricette della cucina napoletana? Infinite.
Le loro rivisitazioni? Altrettanto infinite.
Simboli incontrastati il ragù (‘o rraù) ed il sugo alla genovese (‘a genovese), straordinari condimenti per la pasta, due must da provare assolutamente in caso di visite in terra campana.
E se è abbastanza facile capire di cosa si tratta quando parliamo di ragù (o ragout?), la genovese, quella classica, abbisogna di un paio di righe di spiego: trattasi di sugo dalla consistenza cremosa di cipolle e carne che, grazie alla lunga cottura, acquisisce morbidezza e digeribilità.
Le origini? Incerte, ça va sans dire. C’è chi assicura l’esistenza del cuoco che di cognome faceva Genovese, chi è pronto a farsi ammazzare assicurando dell’esistenza di un monzù di Ginevra (Genève, Genevois e quindi Genovese), chi racconta di trattori genovesi che avevano numerose trattorie in zona porto e che questi cucinassero la carne con le cipolle, nonostante nella cucina genovese non se ne abbiano tracce chiare.
È ricetta popolare, comunque, dalle origini antiche. E dalle millemila versioni, quasi una per famiglia, con rivisitazioni, commistioni, e chi più ne ha ne metta.
Tra le tante, una rivisitazione (o commistione?) che mi piace assaje è la genovese di tonno, una via di mezzo tra ‘a finta genovese (ovvero di sola cipolla) e ‘a genovese ‘e purpessa (polpessa, che non è la femmina del polpo, ma altro cefalopode dalle carni meno pregiate con le due file di ventose asimmetriche) spesso presente sulle tavole dei Campi Flegrei.
Qui abbiamo invece il tonno fresco, prodotto del mare e dalla consistenza “carnosa”.
Pochi e semplicissimi gli ingredienti, tanta pazienza e cura nella preparazione.
Cinque regole, da seguire attentamente, per non rovinare un “lavoro” che porterà via tempo.
Ingredienti per 4 persone
1 carota
1 costa di sedano
1,5 kg. di cipolle
sale e pepe
1 bottiglia di vino bianco
acqua calda
300 gr. di filetto di tonno fresco
Abbondante olio extravergine di oliva
360 gr. di rigatoni, maccheroni, mezzanelli o ziti spezzati a mano, mezzi paccheri (a scelta)
1. LA SCELTA DELLA CIPOLLA
L’elemento principe della ricetta, non credo serva specificarlo.
Tante le varietà, tre le macro categorie basate sul colore della tunica, la pelle esterna.
Bianca, pungente ma non fastidiosa a crudo, ideale per soffritti, buona anche dopo una lunga cottura. (ad esempio l’abbastanza nota Bianca di Chioggia)
Rossa, più aromatica ma delicata, persistente anche una volta cotta.(la calabrese Rossa di Tropea)
Dorata/Ramata, le più intense, ottime nei piatti che prevedono una lunga cottura. (tra le più celebri la Dorata Parmense, la dorata di Voghera e la Ramata di Montoro)
Beh, prove ne ho fatte diverse, e tra “nordiste” e “sudiste” si lascia preferire la Ramata di Montoro, dolce e delicata, non particolarmente fastidiosanella preparazione, con gusto e consistenza perfette.
Mi raccontano meraviglie della cipolla di Vatolla(SA), dalla tunica esterna paglierino/rosa, molto dolce, di scarsissima pungenza, dal profumo delicato e poco penetrante. Caratteristiche interessanti l’elevata digeribilità e l’assenza di lacrimazione nel prepararla.
2. IL TAGLIO DELLA CIPOLLA
Lacreme Napulitane, come scherzosamente viene definita la fase del taglio delle cipolle.
Battute a parte, posso dare un solo consiglio vero,ovvero avere un coltello affilatissimo.
Una lama ben affilata permetterà un taglio netto sulla cipolla, mentre i coltelli poco affilati, non consentendo un taglio corretto favoriranno lo sprigionarsi delle sostanze irritanti.
In mancanza potrete indossare con buoni risultati gli occhialini da piscina (non ridete, please), risultati che saranno minori con i rimedi come quello di mettere la cipolla nel congelatore per 10 minuti.
Molto dipenderà comunque dalla nostra sensibilità, non esistendo una soglia oggettiva.
Insomma, può darsi che qualche lacrimuccia la verserete comunque.
Non male, a patto di perdere qualcosina nel gusto finale, una precottura in forno per 25/30’ a 150/160º. Le cipolle intere, appena distanziate sulla teglia, meglio se con la loro tunica.
Appena ammorbidite, le lasciamo raffreddare, le puliamo e poi le affettiamo come da ricetta.
3. LA SCELTA DELLA PENTOLA
Anticamente il tegame di coccio (terracotta) era il preferito per le lunghe cotture.
Meravigliose, ed ancora abbastanza care le cocotte di ghisa (quelle serie), che rappresentano l’evoluzione moderna delle antiche pentole delle nonne, permettendo di distribuire il calore uniformemente.
Onestamente anche una moderna casseruola dal fondo spesso dotata di coperchio in vetro fa al caso nostro. Come vedremo non si tratta di preparazione da abbandonare a se stessa durante la cottura.
4. LA COTTURA
E’ la fase fondamentale, che non ammette deroghe, pena la cattiva riuscita del sugo.
Tagliamo abbastanza finemente sedano e carota, li mettiamo a rosolare nell’olio abbondante alcuni minuti e poi andiamo con le cipolle tagliate precedentemente a fettine sottili.
Saliamo appena un po’, così per osmosi le cipolle perderanno acqua più facilmente, ma non esageriamo; le cotture lunghe concentrano il sapore, rischiamo la sbobba immangiabile.
Coperchio, non a chiudere completamente, e facciamo iniziare a “pippiare” come con il ragù; i primi segni li avremo dopo una buona mezz’ora, visto il fuoco bassissimo.
E’ arrivato il momento:con intervalli massimi di 15 minuti, verifichiamo lo stato di cottura delle cipolle, che avranno iniziato ad attaccarsi leggermente sul fondo, caramellizzando.
Aiutandoci con un cucchiaio di legno, cercando di non grattare, deglassiamo dolcemente.
Per deglassare due scuole di pensiero:dando acidità (ed avremo bisogno del vino, bene una falanghina o una coda di volpe), o conservando la dolcezza (in tal caso andremo d’acqua calda), con i più bravi a creare il giusto mix tra acqua e vino.
Insomma facciamo attaccare e poi stacchiamo, creeremo così quel bel colore bruno all’intingolo finale.
Dopo almeno due ore e mezzo, meglio tre, aggiungiamo il filetto di tonno tagliato a grossi dadini e facciamo cuocere a fuoco leggermente vivace per cinque minuti, aggiustando di sale.
5. LA SCELTA DELLA PASTA
Come dice una mia amica “tanto lavoro non merita una pasta scadente”.
Scegliete senza lesinare sulla qualità, un buon pastificio artigianale con trafile in bronzo ed asciugatura lenta, meglio se di Gragnano, la città della pasta IGP.
Qui ho usato i mezzi paccheri di Gerardo Di Nola di Gragnano, dal buon rapporto qualità/prezzo.
Avrei potuto usare rigatoni o maccheroni senza incorrere nelle ire di alcun purista.
Avrei raggiunto l’apice se avessi usato mezzanelli o ziti lunghi, entrambi da spezzare a mano, creando così quella minutaglia che resta sul fondo del piatto, da raccogliere con il sugo restante.
Ah, mi raccomando, qualunque sia il formato scolatelo benissimo, ogni presenza d’acqua diluirebbe (e rovinerebbe irrimediabilmente) il sapore e l’effetto crema prodotto dalla lunga, paziente cottura.
Consigli finali
- Non la saltate in padella, usate una zuppiera abbastanza capiente.
- Una macinata di pepe, non generosissima.
- Io non sono di quel partito, ma volendo potete grattugiarvi del pecorino.
- Nella bella stagione non rinunciate al basilico fresco, profumatissimo.
- Se possibile, preparatela un giorno prima, acquisterà in sapore.
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