Addio Guido Ceronetti apocalittico vegetariano
Sapere vegetariani Leonardo e Kafka, sopratutto, mi dà frescura: si muovono, nel mondo contaminato, incontaminati, portando una luce non mescolata alle candele piene di lamento, alle lampadine fosche del mattatoio e della stalla sacrificale.
• Il silenzio del corpo, 2015
Da molti anni sono vegetariano e posso dire di averci guadagnato in salute fisica e mentale. Non ho perduto che le macabre catene del conformismo onnivorista.
Dati i prezzi del mercato delle carni, una famiglia volontariamente vegetariana galleggia meglio, può spendere in raffinatezze quel che risparmia in pezzi di cadavere, ha un bilancio meno pesante e lo stomaco meno guasto. I bambini non sono un problema: quasi tutti sono, spontaneamente, vegetariani, e un vegetariano avveduto non li priva certo di proteina. La carne gli viene imposta dall’idiozia carnivorista degli adulti.
• La carta è stanca: una scelta, Adelphi, Milano, 2015, cap. I vegetariani.
Figli del cielo sono l’olio d’oliva, il miele, il riso, il tè. Impossibile che da alimenti così luminosi possano nascere cattivi odori. Il fungo è un mistero: impastato di luce e di materia, il metabolismo individuale ne cattura secondo l’inclinazione prevalente materia o luce.
• Il silenzio del corpo, 2015
Mi stupisco, quando vedo gente giovane mangiare carne. Mi sembra talmente cosa d’altre epoche! La gioventù carnivora non è coi tempi, ha uno stomaco da secolo XIX, che carnivorizzò l’Europa… Cibarsi di pezzi di animali macellati è un’anomalia, fuori della dieta vegetariana non c’è giovinezza vera. La carne è per lo più un’angosciata abitudine dei vecchi. Richiedere piatti di carne, parlarne, ricordarli è cosa da vecchi, e da vecchi incapaci di svecchiarsi con una dieta decisamente alternativa.
• Insetti senza frontiere
Con la Guinness, nerastra, rigagnolo impuro, ho fornicato per un po’ di tempo: mi dicevano che la Guinness è salutare. Non capivo perché, se la birra fa bene, le mie digestioni fossero così piene di chiasso.
• La pazienza dell’arrostito
Il tè […] le poche volte che ho dovuto prenderlo in compagnia […] è stato una specie di pena, perfino di smarrimento… Qualcosa che ne strangola il piacere, obbligando a scambi futili di parole, e ne annulla l’effetto magico sui nervi e sul pensiero. Gli altri, in quell’attimo d’amore tra uomo e foglia del tè, diventano degli spiacevoli voyeurs… Così, finché potrò, prenderò il tè in solitudine.
• La pazienza dell’arrostito
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