Siamo tutti esseri “umami”
Ovvero, con Ajinomoto alla scoperta del quinto gusto: Umami, che in giapponese vuol dire “delizioso”. Ma non è un gusto esotico: è un gusto universale. Punto.
Come accade con il dolce, il salato, l’amaro e l’aspro, le nostre papille lo riconoscono e lo amano perché, oltre ad essere un gusto primario, si trova in alimenti molto familiari. Uno per tutti, il latte materno. O i pomodorini secchi, il parmigiano, i funghi porcini. O il garum di cui erano ghiotti gli antichi romani!
Certo, l’umami è caro ai giapponesi, che lo hanno ufficialmente “scoperto” e descritto, grazie agli studi del dottor Kikunae Ikeda ai primi del ‘900. Ma poi ne hanno fatto un’arte, cercando cibi con l’umami e combinandoli per potenziarne la piacevolezza. Uno per tutti il dashi, il brodo-base caratterizzato dalle alghe kombu, in un’infinità di declinazioni saporite – le più conosciute con l’aggiunta di fiocchi di bonito (tonno essiccato) o di funghi shiitake.
Ci sono 3 caratteristiche inconfondibili che ci fanno dire, all’assaggio, questo è umami:
1. Si diffonde su tutta la lingua.
2. Persiste in bocca. La sua intensità non scompare subito.
3. Stimola la salivazione, aiutando a ingerire meglio i cibi.
L’umami ci dice che un cibo è proteico; è infatti dovuto principalmente a un aminoacido come il glutammato e a due nucleotidi come inosinato e guanilato. Esercitare tutti i sensi e identificare i sapori è fondamentale per gli esseri umani che così evitano i cibi nocivi e ottengono in modo sicuro i nutrienti – come le proteine – necessari alla vita.
Meno sale, meno grassi, più sapore: questi sono i principali vantaggi della cucina con l’umami. Forse anche per questo l’umami piace sempre più e provoca la creatività di molti chef in tutto il mondo, unitamente a una maggior sensibilità per cibi più leggeri e al successo consolidato della cucina giapponese – dal sushi, ai piatti veloci e informali come onigiri e okonomiyaki, all’alta e nobile cucina kaiseki.
Forse non a tutti è dato (de)gustare l’umami in un raffinato bento secondo Nobu o un maestro kaiseki come Yoshihiro Murata, o nell’interpretazione di uno chef italiano sperimentatore come Luca Fantin. Ma è proprio quello che mi è capitato all’umami summit di Milano organizzato da Ajinomoto, gruppo dell’industria alimentare con forte impegno nella ricerca e produzione di cibi sani, nella sostenibilità uomo-ambiente, nell’educazione scientifico-gastronomica in sinergia con l’Umami Information Center diretto da Kumiko Ninomiya, che ha un sito ricco di documentazione e di ricette.
Ecco dunque che dopo aver ascoltato, in un panel condotto dalla giornalista Stefania Viti, la testimonianza dei suddetti chef e gli interventi di Laura Santtini, ristoratrice a Londra e creatrice di una pasta al quinto gusto (Taste #5) e della ricercatrice Gabriella Morini, dell’Università degli studi di scienze gastronomiche, ho capito molto bene che siamo tutti esseri umami.
Daniela Ferrando
Grazie a InKitchen Loft per il coinvolgimento 🙂
Submit a Comment