L’AntipatiCibVs: L’Expo secondo Piero Colaprico e secondo me
Il giornalista Piero Colaprico risponde alle lettere dei lettori dell’edizione milanese di Repubblica nella rubrica trisettimanale Posta Celere.
Una delle sue risposte riguardava l’Expo2015. Era il 30 luglio, e Colaprico replicava a una lettrice, Giuliana Vogel, che si lamentava delle critiche – ingiustificate secondo lei – a Expo: “So solo che sono orgogliosa, ancor più da milanese, di questo bellissimo evento. A dispetto di color che vogliono sempre e a tutti i costi vedere il granello di polvere nella montagna di stelle.”
Ecco la risposta di Colaprico.
Ma infatti… a parte Basilio Rizzo, che dagli anni 80 insegue la massima trasparenza ed è una persona coerente, a volte mi viene da ridere ascoltando le critiche. Chissà come mai, io incontro persone che, come lei, gentile signora Vogel, tornano a casa soddisfatte dall’esperienza. Persone diverse, come il mio parrucchiere, come la neo avvocato che dava ripetizioni ai miei figli, come la raffinata collega giornalista che ama cibo e libri (e potrei andare avanti per una pagina). Invece la cantilena continua: quanti sono i biglietti venduti? Siamo sotto il “pronostico”? Scusate se non capisco dove risieda il drammatico problema che toglie il sonno. Non importa se Expo – parere personale – chiuda in attivo e di quanto: ma come si fa a non capire che Expo è stata un gigantesco investimento sul futuro? Intorno a Expo c’è la Lombardia, regione che ha riscoperto – non per merito dei politici – una sua vocazione agricola e turistica. E vicino c’è MIlano, città rinata, anche per meriti politici. Ed Expo parla di Italia, è Italia. Ora possono non piacere Renzi, Pisapia, Maroni, ma non dovrebbe essere essere difficile pensare che la politica, qualsiasi politica, passerà, mentre le aziende, anche agricole, resteranno. È più facile sfasciare immagine che costruire qualche cosa che funziona. E per me c’è di più, c’è quell’aspetto della contemporaneità un po’ sottovalutato: hanno sempre più spazio sui media gli infelici e depressi e cattivi (il tristo di manzoniana memoria) che, se possono, s’incarogniscono su qualche cosa di bello, di vitale, di collettivo. «Quanti biglietti sono stati venduti?» Già, ma anche voi ipercritici e fissati vari, voi che (come spiega la lettrice) guardate solo la polvere tra le stelle, a quale diavoletto sfigato vi siete venduti?
Non è che abbia molto da aggiungere. Potrei dire che, se anche fosse un fallimento a livello di conto economico, non sarebbe probabilmente così importante, se non per chi ovviamente ci avesse perso dei soldi: si sarebbe trattato comunque di un evento importantissimo per quello che ha mosso, ha insegnato, ha fatto vedere. Che se esiste gente disposta a fare ore di coda per entrare in un padiglione, beh, qualche cosa di buono, di interessante, ci deve essere, e non solo dentro quel padiglione. Che io non abbia mai sentito nessuno fare beh, mentre era in coda, qualcosa deve ben voler dire. Che non abbia visto o quasi cartacce per terra, sacchetti della spazzatura in mezzo ai prati, beh, avrà un senso.
il senso di Expo1025 Milano.
Emanuele Bonati
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