Sul leggio di BlogVs: Carne Trita di Leonardo Lucarelli
Uno inizia a lavorare in cucina perché gli capita, perché da ragazzino quando tornava da scuola era solo o al massimo c’era il fratello più piccolo, perché a un certo punto ha pensato di saper cucinare, perché quando ha visto qualcuno lavorare in cucina ha pensato che fosse un piccolo eroe contemporaneo, un capitano di ventura, un sultano e un impostore, e se può cucinare un impostore può farlo anche lui.
Uno inizia a lavorare in cucina perché i cuochi sono tutti tossici e alcolisti e puttanieri e artisti, perché anche Orwell ha lavorato in cucina, e se proprio non sa immaginarsi come Oldani o Cracco, può sempre immaginarsi come Orwell, perché c’è un momento in cui sembra facile, prima che diventi difficile, ma poi torna facile, perché a vent’anni vuole già il suo posto e in cucina è probabile che glielo diano.
Uno inizia a lavorare in cucina perché ogni ristorante è un mondo a sé e il cuoco è sempre il vertice del potere, e le ragazze più carine se vogliono scopra eguardano in alto, perché pensa che cucinare sia un atto d’amore, perché dell’amore non gliene frega un cazzo, perché se uno come Vissani ha fatto i soldi allora può farli chiunque, perché è sinceramente convinto che qualunque uomo, donna o adolescente dovrebbe saper cucinare. Perché gli piace sporgersi e guardare giù.
Uno inizia a lavorare in cucina perché gli viene bene, perché ha sempre cercato un buon motivo per manifestare il suo disprezzo per l’ignoranza, perché quando ha scoperto il piacere del cibo poi non ha più saputo rinunciarci, nemmeno quando i pezzi della vita si sparpagliavano tutto intorno, perché fare il cuoco è un alibi, perché cucinare è come raccontare o scrivere e lui pensa di avre un sacco di cose da dire, perché in fondo si sente uno sfigato, ma il migliore di tutti. Perché all’inizio, forse, si sentono tutti così.
Uno inizia a lavorare in cucina perché i cuochi di professione sono gli unici veicoli rimasti per le tradizioni, perché gli piace maneggiare quintali di carne,perché gli sono sempre piaciuti i coltelli, perché ha paura, anche lui, di andare alla deriva senza combinare nulla, ma finché cucina può permettersi di galleggiare sul resto, perché pensa che prima di entrare in cucina valeva poco e forse vale poco anche adesso ma nessuno se ne accorge, perché sta bene in un luogo dove le cose hanno il loro ordine anche se tu non ce l’hai, perché il cibo è insieme un precetto divino e un peccato mortale.
Uno inizia a lavorare in cucina perché così pensa di ipotecare i desideri.
Uno inizia a lavorare in cucina perché da qualche parte deve iniziare.
Uno inizia a lavorare in cucina perché era distratto.
Leonardo Lucarelli, Carne Trita. L’educazione di un cuoco, Milano, Garzanti, 2015
Questa è solo una scelta, mia, dalle prime pagine – una specie di prefazione non dichiarata – di Carne Trita, un romanzo di Leonardo Lucarelli. Uno chef. Garzanti, 16,40€.
Il libro l’ho scoperto attraverso una recensione entusiastica di Antonio D’Orrico sul Corriere – non che segua sempre i consigli dei giornali, ma sono passato in libreria, ho iniziato a leggere le prime righe – il primo paragrafo è lo stesso del libro, gli altri sono un taglia-e-cuci – e l’ho comprato, subito.
A convincermi è stato proprio questo incipit – disperatamente romantico e letterario, sporco e ruffiano, carne e sangue e veleno e antidoto, un “quelli che” intimo e lacerato. E la foto di copertina – di Umberto Nicoletti, bella ed efficace (anche se la copertina in sé poteva essere meglio).
No, non l’ho ancora letto, mi sono fermato a riprendere fiato dopo queste prime quattro pagine. Non so se mi piacerà davvero, ancora. Ma queste pagine valgono da sole almeno 16€ dei 16,40 che mi è costato.
Emanuele Bonati
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Ciao Emanuele,
ho letto solo ora questa tua piccola e bella recensione. E sono curioso. Lo hai finito poi il libro?
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