Il nonno dell’aperitivo: andar per bàcari con Anna Maria Pellegrino
Aperitivi a Milano? Non solo! Cominciamo dalla “preistoria” dell’aperitivo: i “bàcari” veneziani (anche se forse ancora prima si potrebbe risalire al mulsum degli antichi Romani).
I “bacari” (termine la cui etimologia è da collegare al dio Bacco) erano i vignaioli e i vinai che si recavano a Venezia con le loro botti di vino per venderlo al bicchiere in Piazza San Marco. I bacari si mettevano all’ombra del campanile per proteggere il vino dal sole, e si spostavano per seguirla: da qui il nome di “ombra” dato al bicchiere di vino, venduto spesso con piccoli spuntini.
28 gennaio 2012 ore 16:00: la Stazione Venezia Santa Lucia, sferzata dalla bora siberiana, ha visto, puntuali come orologi svizzeri, i primi partecipanti a #Bacari baciarsi ed abbracciarsi e subito dopo dirigersi verso la Venezia dei Veneziani, destinazione Rialto, attraverso Campo San Giacomo dell’Orio (nelle vicinanze del Museo di Storia Naturale), Santa Maria Mater Domini, San Cassiano per giungere in zona Pescheria – che purtroppo chiude alle ore 12.00 tutti i giorni ed è ovviamente rigorosamente chiusa al lunedì; di conseguenza non siamo andati ad acquistare il pesce, ma ce lo siamo gustato già cotto, grazie ai cicheti dei Do Mori, l’osteria più antica di Venezia (datata 1462), nonché una delle più affascinanti, in un corridoio tra due calli difficilmente localizzabile per chi non è del luogo (ma forse sono proprio i Do Mori che non vogliono farsi scoprire).
Dopo il battesimo con il primo cibo di strada che l’occidente abbia conosciuto (affermazione rigorosamente storica e assolutamente di parte), un po’ più allegri e sciolti ci siamo diretti verso il famoso “chiosco” di Santa Maria Formosa, situato in un crocevia di calli che vede l’incessante incrociarsi di veneziani più o meno affaccendati. Il bello è sedersi davanti a uno spritz in formato “normale” (per i locali: corrisponde a un formato “flebo” per i foresti), a uno dei tavolini, rigorosamente ed esclusivamente all’aperto, circondati da piccioni curiosi, per osservare l’energia della tipica “Camminata Veneziana” (e vi preghiamo di prestare attenzione ai polpacci dei locali: non trovate anche voi che avrebbero fatto invidia a Claudio Gentile?).
Nel frattempo è diventato buio, ma non ci siamo persi d’animo e, per raggiungere un altro bacaro storico, Al Ponte, abbiamo attraversato Campo San Giovanni e Paolo (alias San Zanipolo, nickname che deriva dalla tipica contrattura che i veneziani amano applicare ai santi e ai fanti…). E lì tutti ad ammirare l’ingresso più bello del mondo, se si considera che si tratta di un ospedale civile (visitabile fino all’inizio degli ambulatori e fino alle 21.00), trattandosi infatti della Scuola Grande di San Marco (una delle sei scuole devozionali “maggiori” della Serenissima).
Al Ponte è un’osteria più recente (ma ha comunque un buon numero di decenni alle spalle), ma anch’essa molto amata dai veneziani, che si ritemprano con la classica “ombra”, l’unità di misura preferita dal Bacco lagunare, caratterizzata anche dal tipico bicchiere svasato in vetro, che assomiglia (incredibile!) a quello in cui ancor oggi, anche nei Balcani, viene servito il caffè turco.
Non eravamo molto provati (e con il freddo che faceva l’alcool veniva metabolizzato a una velocità che neanche i neurini), per cui abbiamo proseguito verso la tappa dell’Antica Adelaide – che lungo il tragitto ci ha visti privilegiati ospiti della Chiesa dei Miracoli, situata nell’omonimo Campo dei Miracoli. Si tratta di un vero e proprio gioiello, uno dei primi esempi di arte rinascimentale a Venezia – e uno dei primi esempi di “costruzione chiavi in mano” perfettamente riusciti. Un mercante lombardo, Antonio Amadi, possedeva un quadro ritenuto miracoloso, una Madonna con Bambino, e volle costruirci una chiesa attorno. Si affidò alla scuola di Pietro Lombardo che, assieme ai figli Antonio e Tullio, dal 1481 al 1489 diede vita al progetto, alla costruzione e alla decorazione di questo autentico capolavoro.
E così, con gli occhi e il cuore carichi di decorazioni marmoree che sembravano cesellate da Benvenuto Cellini in persona, siamo giunti all’Antica Adelaide, osteria riaperta da Alvise e riportata al suo splendore caratteristico dopo anni di incuria. Si tratta di una delle osterie veneziane più cariche di storia, con la sua stanza del latte, quella in cui le donne di Campalto portavano dalla terraferma il latte delle mucche che allevavano e nella quale si riposavano prima di lasciare Venezia per ritornare a Campalto via mare. Allora il Ponte della Libertà non era ancora stato costruito!
Abbiamo mangiato dei bigoli al torchio con scampi freschissimi, un risotto al nero da tripla stella e soprattutto le prime frittelle della stagione, preparate con il lievito madre.
Dall’Antica Adelaide al punto di partenza il tratto più breve è la Strada Nuova, che viene normalmente percorsa dai turisti… e che noi non abbiamo fatto, preferendo il tragitto che attraversa il Ghetto (Nuovo e Vecchio), per arrivare Al Paradiso Perduto, storico locale, situato in Fondamenta della Misericordia, che vide concretizzarsi le canzoni dei Pitura Freska – tra le quali la mitica “Pin Floi”, dedicata al concerto-disastro che i Pink Floyd tennero in laguna nel 1985 (ricordate? “Persi par persi, ndemo a consolarse, / ndemo al Paradiso a inbriagarse”…).
Ho tolto le scarpe alle 3 del mattino – ma ero già pronta a ricominciare!
Avviso ai naviganti: per chi avrà gradito questo tour invernale con l’infaticabile socia Elisabetta Tiveron stiamo meditando una “late spring edition” (verso maggio… prima che faccia troppo caldo) con diverso itinerario (e sempre fuori dalle rotte turistiche).
Per informazioni: Elisabetta Tiveron, bettipanemiele@gmail.com, o Anna Maria Pellegrino, lacucinadiqb@gmail.com Anna Maria Pellegrino lacucinadiqb
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